Sunday, December 19, 2004

Campana batte a morto

Da un bel pezzo non tornavo in quel paesello.
Mi ricordo un'estate di averci passato intere giornate a far finta di tradurre Senofonte, col Rocci aperto sempre alla stessa pagina.
Ricordo bene l'odore della casa. Un deodorante che mi faceva venire l'asma e la carta da parati un po' scollata agli angoli.
In Val Bormida parlano uno strano dialetto. Io un vero estraneo laggiù con le mie "e" spalancate. Invece di andare in bici per i campi leggevo polizieschi sdraiata sul letto.
Ieri quando ho aperto l'uscio il morto era davanti a me sotto una retina lilla. Non ho fatto in tempo a ritrarmi, così ho guardato quelle mani livide stringere un piccolo rosario di legno.

Non avevo mai visto un morto.

Mi sono scoperta a pensare alla giacca che le avevo visto tante volte nelle occasioni di festa. Una giacca anni ottanta a quadretti bianchi e neri. Alla camicetta di san gallo coi bottoncini perlati.
Poi la figlia mi ha abbracciato e piangendo mi ha detto: "Ti ha voluto tanto bene".

Ho preso freddo per molte ore.
All'omelia mi sono scoperta recitare a memoria interi pezzi di messa. Ho ascoltato attenta ogni parola del parroco mentre in silenzio ripetevo "tutte cazzate, tutte cazzate".
Nulla è valso a commuovermi. Nemmeno la faccia stravolta di chi ho visto invecchiare.

Fuori dalla chiesa ho ripensato a tutte le parole dette nel gelo mattutino.
Ancora niente.
Poi la campana ha battuto a morto.
Una, due, venti volte.
Solo quel funebre "tang".
Questo più di tutto mi ha commossa e confortata.

For whom the bell tolls diceva John Donne.
Spero che quando sarà ora suoni.
Non voglio morire nel più assoluto silenzio.



In memoria di Tugnina.

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