Monday, November 29, 2004

глухонімий

Ho provato a bendarmi gli occhi.
A chiudermi il becco con una cipolla.
A cucirmi le mani alle tasche.
Ho evitato le patatine nel naso per non soffocare.
In una casa con le finestre sbarrate, con le porte inchiodate. Il telefono muto.
Non serve a niente.
Io SO cosa pensi.
Anche se non ti vedo da sempre. Anche se ci siamo appena sfiorati lungo la strada.
Non siamo gemelli.
Non parliamo nessuna lingua in comune.
Non conosco la strada che mi porterebbe da te.
Nella mia testa ti sento ridere.
Questo basta.
Ha voglia quell'azzimato professore a dire che per comunicare è necessario avere un linguaggio comune e un mezzo con cui trasmetterlo.
Lei si sbaglia caro mio.
Si tagli la barba! Lei non ha fantasia. Scenda immediatamente da quella cattedra!
La sua legge è sbagliata. Vale solo per chi come lei pensa coi libri.
Al cuore basta un attimo. Basta un occhio. O il rumore che fa un sorriso. Il portarsi alle labbra una sigaretta stropicciata.
Al cuore basta un ricordo.
Posso sentirti parlare senza che tu apra la bocca. Posso stare a guardarla in silenzio e immaginarmi cosa direbbe.
Posso ascoltarti anche se non ti capisco. Ripassarmi a memoria monologhi interi.
Posso immaginarti dormire supino, sdraiarmi al tuo fianco anche dall'altra parte del mondo.
Posso svuotarti lo sguardo abbeverandomi piano al fluire dei tuoi sentimenti.
Che io so, sono lì che mi aspettano.
A chi dice che è impossibile non credete.
A chi dice non si può, non è scritto da nessuna parte, sfoltite la barba.
A chi pensa che per comunicare si debba scrivere, parlare, leggere, ascoltare.
Dite che no, non è vero, che basta solo sentire.


*глухонімий_sordomuto

Thursday, November 25, 2004

E la terrà le tremò sotto i piedi

Quando avevo suppergiù cinque anni mio padre abitava davanti a Bolaffi.
Era un appartamento grande con un bagno blu e i pavimenti di legno.
Le finestre marroni si affacciavano sulla strada per via di balconi in pietra troppo stretti e tremolanti.
Una casa signorile con portineria e piano patrizio.
Ricordo di aver detestato l'odore di pipì di coniglio che ti investiva varcando l'ingresso e le gelosie che non mi facevan dormire la notte.
Quando mio padre faceva la pennica il sabato pomeriggio mi nascondevo sotto il piumone e parlavo con Angelorso. L'unico amico che avessi cuore di lasciar lì durante la settimana.
Di pomeriggi in penombra senza riuscire a dormire ne ricordo diversi per quanto remoti.
In particolare un giorno, sarà stato novembre, ero da sola.
Vai a capire con che pretesto mio padre mi lasciava da sola coi miei cinque anni in quella casa dai divani di pelle.
Guardavo la strada da dietro gli infissi.
Ad un tratto una A112 mirafiori non dà la precedenza a una 127.
I due fanno il botto.
Sull'asfalto si sdraia un' enorme pozza d'olio.
Io alla finestra rinculo.
Il cuore mi batte impazzito nella tuta Robe di Kappa.
Ho paura. Non ho mai visto due lamiere scontrarsi e quella pozza d'olio assomiglia troppo al sangue che ogni tanto intravedo nei film per i grandi.
Quelli che guarda la mamma quando mi manda a giocare di là.
Da una macchina scende una donna. Si torce le mani, non sa cosa fare.
Non è poi niente di grave. Solo olio, qualche vetro qua e là, il radiatore è partito.
Sono gli anni ottanta. Macchine in solido acciaio.
Io non lo so.
Lo stomaco chiuso. Ho paura. Vorrei dirlo a qualcuno ma sono da sola.
Resto dietro il vetro a guardare il carro attrezzi che porta via i rottami e la donna che si mangia le dita.
Poi torna mio padre.
Non faccio menzione di quell'incidente.
Perchè anche lui mi fa paura e io non gli parlo.
Perchè è grande e ha le mani pelose.
Perchè quando cammina io non gli sto dietro.

Per molto tempo ho continuato a guardare quella macchia d'olio da dietro gli infissi.
Finchè non si è cancellata e non ci ho fatto più caso.


Sta notte, mentre la terra tremava sotto il lago di Garda e i pesci morivano di crepacuore, vedevo soltanto un cucchiaino agitarsi un po' troppo dentro a una tazza.

Tuesday, November 23, 2004

Lo vedi poi che Gesu fa schifo anche di lunedi sera?


il signor LAMORTE
a travers les yeux de mademoisellehuitre.

Il signor LAMORTE fa parte della schiera dei rachitici aspiranti venditori di casse da morto.
Per questo è persona da me assai benvoluta.
Ospite gradito nonchè amico di qualche gradino piùssù del normale.

Io e il signor LAMORTE ci conosciamo da tempo oramai.

Ci accomunano svariate passioni.

L'odio per il Natale.
L'orrore per la politica da supermercato.
[La prego, mi contenga!]
L'amore per le bestie di casa.
La passione per la bestemmia creativa.

Cose mica da nulla.
Neppur così facili da rintracciare nelle birrerie di fiducia.

Questa sera il signor LAMORTE è approdato in questi tonsillitici lidi portandosi appresso due baffute Moretti.
Venne per tener compagnia alla signorina Ostrica, che al troppo freddo esposta tossicchia e scatarra.

Voi non sapete quanto LAMORTE può far ridere un'ostrica.
Anche quando rischia di volar dalle scale lasciandola vedova a snocciolare rosari.

"Ecchevolete farci EMMMORTO..."

Fortuna che c'è questo rachitico essere dotato di falce e mantello.

Vendesi MORTE a prezzi speciali.
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Monday, November 22, 2004

La vie d'un feu


feu follet
a travers les yeux de mademoisellehuitre.

Per caso cominci tu.

Abbagliante
qualche
momento.

Devoto a sussurri. Risa. Capelli bagnati.

Io.
A sospirare per giorni.

[Nessun altra mano che mi tocchi i capelli]

Il vento mi scuoia la faccia.

La via verso casa.

Come fuoco fatuo
ti aspetto.

Sunday, November 21, 2004

E per te ...


sguardo eloquente
a travers les yeux de mademoisellehuitre.
... solo questo.

Thursday, November 18, 2004

Glace


miroir réfléchissan
à travers les yeux de mademoisellehuitre.
Sembra impossibile non aspettare l'alba.

Ho visto troppe notti.
Da quanto non dormo?

Fa di nuovo freddo ora che sono tornata a casa.
Vestirsi di abiti consoni, lavarsi i capelli.
Solo il ricordo di abitudini che perdono aderenza.
Mangiare carne in pane libanese alle tre del mattino.
Tornare a casa in panda scassate.
Familiare consuetudine, fresca, e se non torno lascio una luce accesa ad aspettarmi.

Ogni volta che alzo gli occhi ti vedo.
Torneremo in quella stanza prima o poi.
Stesse luci. Stesse lanterne.
Stesso giardiniere mattiniero.

Posso anche non sognare più.
Ho smesso di dormire apposta.
Solo una finta.
Poco più di una farsa.
Mi sdraio e guardo il soffitto.
Non ci sono stelle nel cielo, ma nuvole e sole sbiadito.

Il fiato si fa serrato intorno alla bocca.
Non un bacio, il solo morso del freddo.

Da dietro un angolo infine ti spio farti bella a mia insaputa.

Tuesday, November 16, 2004

Talpe e martello

C'è un gioco piuttosto macabro che coinvolge talpe e martelli.
È un gioco sleale.
Un furbacchione con un nerboruto mazzapicchio deve assestare un colpo secco in testa a una talpa che ignara sporge il musetto da un buco.
Più musi più punti.
Più punti più soddisfazione.

Ora, se voi foste una talpa, non sentireste i vostri costituzionali diritti irrimediabilmente lesi nel vedervi appioppare un legnoso papagno direttamente sul grugno mentre tentate di prendere una boccata di fresco dopo cena?

Direte, sono cose che capitano, sì.
Eppure -eppure- non vi farebbe mortalmente incazzare se un mercoledì pomeriggio decideste di andarvene a vedere Juve-Fiorentina e mentre vi rollate una ceppa sugli spalti in assoluta tranquillità una mandria di sbirri impazziti vi bastonasse sul naso per il puro gusto di farlo?

Pensate alle talpe. Sono quasi cieche. Non lo vedono arrivare quel martello.
"Maccome? Non stavo neanche rosicchiandoti le verze! E tu mi dai una martellata?"

Piangono le talpe. Dal male e dal nervoso. Colando rabbia dai loro occhietti ciechi.

E noi?
Cerchiamo l'orto del martellatore, rubiamo le verze e diamogli fuoco!


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Per Fabio.
Tieni duro ghilmert!
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Saturday, November 13, 2004

A pancia in su nel buio

Alle quattro e mezza ero a occhi aperti nel buio.
Guardavo il soffitto insonne. Come una pera fino a quell'ora e poi neanche più un bandolo di sonno notturno. Semplicemente ho perso il filo. Ho contato le persone che conosco fino allo spuntare del sole.

Pensavo alla Svizzera.
Credo influenzata da un Dago straripante Lanzichenecchi.
Pensavo alla stazione dei treni di Ginevra che sembra quella di Amsterdam. Pensavo ai treni rossi con la croce bianca sul muso. Vecchi regionali con fogge anni '50 e sedili verde pisello. Pensavo al ritorno dalla Vaude di cui non ricordo nulla.

Gli svizzeri sono un popolo strano. Civili, ricchi, neutrali e contemporaneamente la più folta marmaglia di assassini mercenari stupratori pestilenti.
Come diceva Orson Welles in mille anni di storia gli Svizzeri sono riusciti a inventare solo l'orologio a cucù.

Pensavo a Roma.
A come è stato partire e a come sarebbe tornare.
Se a un abbraccio di arrivederci seguirebbe lo stesso abbraccio di benvenuto.

Ad agosto a San Lorenzo non c'era nessuno. Camminavo con Michele stupefatta tra i marciapiedi sgombri.
Una sera, poco prima che partissi, c'era una festa al 26. Il compleanno di un pischello. Tra i nostri succhi di frutta (biancospino e melagrana per me) un falso allarme, una corsa alle armi e un "era una finta".
Questi istanti di isteria collettiva mi ricordano certi clip dei Beastie Boys.
Fanno ridere e imbarazzano.

Pensavo a casa.
A quanto sia vincolante l'ambiente in cui si cresce.
Sanremo è la mia città natale. Tutti i miei parenti vivono qui.
Tra loro sono un lungo asparago verde brillante. Quasi un alieno.
Ho due cugine più grandi, figlie dell'unica sorella di mia mamma. Non mi assomigliano in niente.
Penso a come sarei stata se fossi cresciuta in questa città di mare. Se lo iodio mi sarebbe stato così ostico. Se sarei diventata una mondana fighetta, una tiepida borghesotta o una tossica marcia (qui l'eroina è come il pane).
Mi chiedo se queste due cugine tettone trasportate in giovane età in una città fredda e senza mare sarebbero state quello che sono. Con gli stessi limiti e le stesse ingenuità che la provincia garantisce.
Pensavo a Torino. A quanto mi garba e a quanto sento di doverla lasciare. A quanto prossimo sia quel momento.
Mio padre ha lasciato Sanremo per Torino e Torino per Roma.
Mi chiedo se farò lo stesso. Se lascerò Torino per Milano e Milano per Roma e poi Roma per NewYork o chissàquale altra solcazzo di città. Soprattutto mi chiedo se alla fine di questo mio peregrinare penserò ancora Torino come casa mia.

Alle sette ho ripreso il bandolo e mi sono riaddormentata.



Friday, November 12, 2004

To move, move, move

Sono a Sanremo da 40 minuti.
Voglio andar via.

H.

Wednesday, November 10, 2004

Ufficio persone smarrite

Faccio un conto e vedo che la discrepanza è un burrone.
Finisce che qua mi licenziano. Che mi accusano di rubare le persone e di venderle sotto banco.
Io non sono una ladra, sono solo distratta.
Le persone le perdo perchè sto giocando con sabbia e formine. Viene sera e non me ne accorgo. Passa l'estate e io cambio gioco.
Non le vendo, vi giuro, sotto banco al miglior offerente.
Anzi, mi ci affeziono e ogni tanto le spolvero, le guardo invecchiare come fa una matta con le bambole di coccio.
Io, credetemi, mi affeziono davvero, come un cucciolo fedele piango e strepito. Uggiolo, mugolo e scondinzolo.
E se mi batti col giornale guaisco, ma non mi stacco dalle gambe fino a che non mi fai troppo male.
Allora mi sbriciolo. Mi sciolgo e vado via in silenzio, scivolando sotto la porta.
Neanche un biglietto d'addio.
Potrei farci dei soldi lasciando la gente per strada. Un servizio di trasporto a tappe.
Ti porto fin dove ti serve.
Non vorrei più stare qua dietro al bancone persone smarrite.
Bada bene che siano smarrite, non scomparse.
Quando le vedo tornare però, mi basta un cenno del capo.
Riempio il registro e le rimetto in vetrina, tra le bambole e i ninnoli.

Forse per questa volta non mi licenziano.


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Sono felice che tutto sia com'è sempre stato.
Perchè il mio cuore, quando ti pensa, sorride.

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Monday, November 8, 2004

Epitelio

Il sapore è il mio. Salato. Sanguigno.

Non ho perso fragranza.
L'umido non mi intacca, non incrina nè ammuffisce.

Queste mele gocciolano sugo sulle mani.
Ho paura che mi bagnino, che mi insozzino, cambiandomi gusto.
Invece no.
Il sapore resta il mio. Farinoso.

È un sublime antipasto quello che faccio di me.
Non è sulla carta.
Tengo stretta la ricetta. Segreta.

Inutile.
Non te lo svelo
Il sapore che ho quando siedo nell'ombra.
Nè quello che lecco al mare d'estate.

È solo per me.
Per la mia bocca.
Per la mia lingua.
Per il mio naso.

Per il solo piacere del vedermi
Socchiudere gli occhi
Sapendomi viva
Ancora una volta

Tigri

Se non hai paura è possibile
Che non ti capita niente. Rasentare
La buca del patatràc non è lo stesso che cascarci.
O ci finisci dentro, ma senza avere guardato.

Invece se hai paura è sicuro
Che qualcosa ti succederà. La natura
Non ammette vuoti e tanta fifa in corpo che accumuli
Ci pensa lei a inventarti il trabocchetto.

Gioca tutto sull'evidenza.
Attiéniti ai fatti, rispondigli
Bòtta a bòtta, nel modo che meglio ti pare:
Grazia, disperazione o ironia.

Ma farsi sbranare dalle tigri che non arrivano
In quelle poche budella di cervello
Nella scatola d'ossa che basta una martellata
È da idioti ­­ si muore una volta sola.

G.Giudici

Sunday, November 7, 2004

Un canto

Quando avevo tredicianni sono tornata in Cecoslovacchia.
La prima volta era stato poco dopo il crollo del muro. Svuotata dal regime, tra tedeschi dell'est in vacanza sulle loro Trabant diroccate.
A Praga non si trovava da mangiare e per strada vedevi passare continui convogli di TIR circondati da sciami di vespe, come in una retrospettiva anni quaranta.
La seconda era diverso. Ho trovato Praga corrotta per turisti e gite scolastiche.

Fermi alla dogana.
Su una passat bianca che mi nauseava. Finestrini chiusi e coda sul ciglio di un campo di frumento.
Silenzio.
Il vento scuoteva quel grano giallo d'agosto. Lo pettinava a strisce alterne in mezzo al cielo sommesso, nubi panna indaco e grigio. Lilla come i fiordalisi che si spezzavano a grappoli contro quel muro di steli.
Dentro all'auto, muta, pensavo al vento. Al suono che fa quando lieve si posa sul grano.
Immersa in quel cielo lo stavo a sentire.
Sorda.

Friday, November 5, 2004

A: CREDINE (ll'arte?)

Vado a nanna adesso dopo aver dedicato le mie ore di sonno alla creazione di un portfolio trasparente.
Il fatto che sia trasparente non significa mica che è invisibile.
Sono soddisfatta. E' tutto plasticoso e nero.
Ho persino inventato un logo perlloccasione.

Domani sono a Milano tutto il dì.
Vado in visita al consolato Ucraino per ottenere il visto e a quel colloquio importante.
Forse è ora che faccia la ninna.
già già

Fate una preghierina per me (non al porcaccio, a chi volete voi...) e pensatemi mentre sono in visita nella città nemica.
H.

Thursday, November 4, 2004

La sfiga non è una calamità, ma una conditio sine qua non.

Quando si dice che butta merda allora butta merda.

Nella prima giornata di grazia concessami dai tempi del pleistocene torno a casa con il cd dei Raein, un concerto mitico dei Non toccate Miranda, un'idea per un disegno, un'allettantissima e lusinghiera proposta per un colloquio importante e, PUTTANA EVA, 38 di febbre.

Se dio esiste come minimo fa il bidello.

A risentirci quando cala il malanno.
H.

Wednesday, November 3, 2004

Bisogna sempre stare a sentire quel che le dita hanno da dire


... non v'è musica più dolce delle tue grida.
Ad ogni frase una mossa improvvisa, disorientante...
La Quiete

Sigillata in una casa che odora di lucky strike e cardamomo oggi ho accolto Nene con un pigiama d'epoca ancora sognante. Raramente ci incontriamo io e la mia amica piu' antica. La conosco da undici anni. Il che significa che ci conosciamo da mezza vita. Parlare con lei alle volte e' strano. C'e' sempre bisogno di ragguagli, ma mai bisogno di spiegarsi.

Le relazioni alle volte si perdono nel tempo, vivendo stati di latenza.

Io vivo stati di terrore, nel pensare di perdere relazioni per strada, come monetine da tasche. Sfondate. Michele, l'amico licantropo, mi ha fatto notare che nei momenti brutti gli affetti importanti diventano un obbligo.
Brutto, orrendo, essere un obbligo per chi ami.

Oggi non ho voglia di parlare, allora sto a sentire quello che le dita hanno da dire. Come Irene. E lei lo sa.


Corri qui. Qui da me. Corri qui. Qui da me. Corri qui. Qui da me...

Tuesday, November 2, 2004

Bucefalo

Sta sera sono uscita in mezzo a questa pioggia che proprio non vuole piantarla di inzupparmi la vespa. Ho preso la macchina del pedinatore e sono andata a Collegno. Collegno, dovete sapere, non è altro che una ridente propaggine urbana. Nulla ti indica che hai varcato il confine di un comune diverso da Torino. Stesse case, stesse facce, persino stessi bidoni dell'immondizia. Insomma pioveva e io guidavo svelta nel mio parka peloso mentre alla radio scoprivo per caso che il vecchio Jacopo fa una trasmissione Mod su radio Londra. Andavo da Sam malaticcio con uno yogurt alla ciliegia comprato in Francia da cipresso. Lui non aveva mai mangiato uno yogurt alla ciliegia. Mi rendo conto che detto così può sembrare strano. Sia non aver mai mangiato uno yougurt alla Cerise della Yoplait (123 kcal x 125 gr), sia sentirne in qualche modo la necessità. Comunque, era malato e io gli ho portato lo yogurt. Sam con la camicia. Una camicia a righe azzurre. Ho pensato che io mai mi metterei una camicia per stare in casa, ma lui è un damerino vero, io invece solo una ragazzina verde. Abbiamo visto "le avventure del Barone di Munchausen" sotto una coperta di Marilyn Monroe seduti su un divano di pelle di toro color sanguinaccio. Un film d'annata. L'ho visto la prima volta al cinema nel 1988 o giù di lì quando con Cipresso era ancora in uso andare al cinema di sabato pomeriggio.
Un film strabiliante e strabordante.
Da segnalare: il naso del barone, le mutande della mongolfiera, Uma Thurman, i colori saturi delle scenografie di Dante Ferretti, la voce di Adolfo,l'uomo con la vista più potente del mondo.
Infine Bucefalo, il cavallo del barone. Quand'ero gggiovane Giulia mi chiamava Bucefalo. Alle volte anche Bupalo, o Cefalo, o Bubi. Talvolta anche Gelinda.
Poi si è fatto tardi. Sia per i miei soprannomi. Sia per casa Samo . I parenti sono rientrati, io mi son fatta sempre più verde e lui sempre più a righe. Allora sono rientrata nell'hangar, con le pale in resta ma il motore che batteva forte. Impeccabile in parka.
Domani mi compro un cavallo di gomma e lo chiamo Bucefalo. D'altronde se piaceva ad Alessandro Magno perchè non dovrebbe piacere a me?

Buone ninne
h.

Monday, November 1, 2004

Fuoco su marte


sciolgo_il_ghiaccio
Originally uploaded by mademoisellehuitre.
You could be from Venus
I could be from Mars
We would be together
Lovers forever
Care for each other

You could live in the sea
And I could be a bird
We would be together
Lovers forever
Care for each other

If you wear an illusion
I will make it real
We would be together
Lovers forever
Care for each other

If you walk in the sun
I will be your shadow
We would be together
Lovers forever
Care for each other

Photo-Phost Compleannico *07


nana&stellina
Originally uploaded by mademoisellehuitre.
Let's walk through the trees, avoid falling debris
My angel is looking over me, I'll say it again
There's no sin in loving yourself
And letting life begin again

Photo-Phost Compleannico *06


ale
Originally uploaded by mademoisellehuitre.
Ale ha bevuto molto dolcetto marsalato. Qui lo vediamo ritratto nell' atto di rammaricarsi per la sua condizione di uomo in ritardo per il concerto dei Kina. An Illustration of Desperation...

Photo-Phost Compleannico *05


sam&davide
Originally uploaded by mademoisellehuitre.
Questi due non hanno bisogno di commento. Si commentano da soli.
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...
...

Photo-Phost Compleannico *04


matte
Originally uploaded by mademoisellehuitre.
Maschio, prestante, fronte studiosa, dimagrito, velleita' artistiche, incontrerebbe commessa o studentessa di lettere per inverno di sesso. NO preliminari. NO perditempo.
Per contattarlo postate un commento e vi mettero' in contatto con lui.

Photo-Phost Compleannico *03


fede
Originally uploaded by mademoisellehuitre.
Rabastun è la mia eroina di sempre. Compagna fondamentale nella lotta per la diffusione della mentalità  barotta nel mondo, collega stimata nella poco redditizia attività  di maniaca assassina no-profit, sorride spesso. Sorride con me e questo mi piace un sacco.

Photo-Phost Compleannico *02


marco
Originally uploaded by mademoisellehuitre.
Ho centinaia di foto di Marco. Almeno un migliaio tra quelle Pomeraniche. Marco ha solo tre espressioni. 1. Affranta 2.Allucinata 3. Dolente. Forse dovrebbe rinnovare il repertorio. Qui lo vedete nella tipica variazione dell'espressione Allucinata che all'occasione si trasforma in "da baccaglio".

Photo-Phost Compleannico *01


elisa&daniela
Originally uploaded by mademoisellehuitre.
E' dalle nove del mattino che spignatto. Alle cinque arriva Elisa con un rachitico mazzetto di basilico per un rachitico pesto, ma non ho tempo di farlo e rimando. Davanti alla porta di casa sua Elisa coi suoi occhioni da vietnamita mi guarda e mi dice: "Io non ho un frullatore". Salvate in ultimis dal vecchietto di pianerottolo approntiamo il sughetto. Senz'aglio perchè ce lo siamo scordate...