Tuesday, August 3, 2010

Qualche giorno fa pensavo

Egregio Dottore,
lei mi chiede come sto, me lo chiede per dovere, forse anche per pietà professionale. Ebbene io sto. Innanzitutto sto. Ferma. Qui. Oltre poi c'è il sonno. Sto con la speciale gonfiezza che viene dopo una pizza e una birra mal digerite. Con le orecchie rintronate dai lavori di ristrutturazione del vicino palazzo sventrato (e con in prodromi di un potenziale avvelenamento da asbesto). Con delle lentiggini che si abbronzano sul lago e che non tornano prima di sabato. La nostalgia mi fa visita per la prima volta da sempre, proprio a me, celebre cuore di cotica. Ho da fare al lavoro, ma di fatto mi trascino, mi stiro come un gatto e con me stiracchio anche le scuse per la mia graziosa inedia.
Questa sera l'augusta mater viene in visita, porta ricchi doni, zucchini e pomodori veri dalla terra natia. Forse un chilo d'olio. Russerà come un trombone bucato per una notte e mi lascerà nuovamente orfana l'indomani. Il gatto Trippolo deve aver presagito qualcosa, giacchè stamane mi rifiutava la testatina del saluto girandomi altezzosamente il culo, come a dire "bacia questo, stronza".
Ecco come sto. Come una patella su uno scoglio il tre d'agosto, a guardare le onde che passano.

Monday, July 19, 2010

Acustico notturno con voce leggera

Strisce rosse sulla pelle,
segni di dita che bruciano,
rimarcano.

L'insalata che porto intorno agli occhi mi dà un'aria fresca, ma non abbastanza, non maschera la solitudine.

Mi sdraio e sudo a righe, mi sveglio, l'allarme dice 13,27 ma fuori è buio. Deve essere saltata la luce. Il cuore batte irregolare. Sul davanzale una falena. Accendo il ventilatore piano e lo avvicino.

Se domani mi dicessero chi sei non ci crederei. Non è solo una questione di definizioni. Le definizioni precise servono per tenere insieme i pezzi, per non avere paura. Questa irrequietezza mi attraversa come elettricità incontrollata. Forse troppo intensa.

Se tu vedessi al di là, se io potessi fare lo stesso.

Nell'angolo del salotto di mia nonna, tra il muro e la credenza che ora sta a casa di mia madre, mio padre teneva il secchio del brumeggio e le cose per la pesca. Mia nonna si lamentava della puzza.

Vorrei avere un posto per me come quello per il secchio. Sicuro fresco ed asciutto. Con un odore preciso, inconfondibile.
Vorrei avere un secchio pieno di brumeggio su cui sedermi e attirare mille pesciolini colorati. Guardare il mare che non si ferma.

Oggi l'aria è fresca, l'oleandro rosso sul terrazzo del vicino ondeggia placido, i miei occhi sono dei pozzi. Tu sei dentro ad un bicchiere in fondo ad un garage.

Domani si vedrà.

Tuesday, July 13, 2010

Cuore di cactus

Thursday, July 8, 2010

Nessun pedaggio

Mi sono svegliata stamane al suono stordente del camion della monnezza.
Sei e cinquantaquattro.
Nemmeno cinque ore di sonno.
Avevo i capelli attorcigliati ad un polso.
Chissà cosa fanno quelli lì di notte, quando non li controllo.
I polmoni asfaltati e le occhiaie all'incirca sul mento.

Ma di ieri non cambierei un minuto.

Monday, July 5, 2010

Sonata incompiuta su pianoforte scordato

Da troppo tempo non dormo.
Ho del blu sotto gli occhi che nemmeno i prussiani.
Sta notte ho ascoltato il ventilatore girare e ho tenuto per un po' la zampa al gatto.
Poi mi sono arresa al sudore.

Di casa mi piace la collezione di libri. Il fatto che alle tre di una cocente domenica incontro per strada per caso amici che non vedo da tempo. Mi piace aprire il cassetto per cercare i calzini e trovarci sei o sette cravatte di pelle che non metto da anni.

Sabato sera a Torino cercavo di scollarmi di dosso la nebbia e quello spesso strato sintetico che mi avviluppa tutte le volte che finisce una storia.
Camminavo lungo il fiume con un bel vestito e dei sandali, parlando troppo veloce, ma senza molto da dire.
Ho fumato due o tre sigarette e bevuto una birra in un bicchiere gigante come quello dei pop corn. Ho anche litigato con il buttafuori.
Sembrava tutto molto naturale.

Ieri invece, sul treno, non riuscivo a dormire. Nemmeno la discografia dei Mogwai è riuscita ad annoiarmi abbastanza.
Approdata in Emilia, lo shock termico mi ha steso con una palata nel muso. Sbatacchiandomi come un lenzuolo strizzato.

Sto ancora cercando di riavermi.

Ma il grosso è stato fatto.
Macellazione a lama bianca. Tutto kosher. Certificato dal rabbino.
Come direbbe qualcuno, un lavoro da professionisti.
Possiamo incellofanare il tutto e mandarlo al corriere.

Mi fermo per un po' a guardare le spine di un cactus che cresce.
Forse sta sera mi ricorderò di dargli da bere.
Nel frattempo è lunedì.

Friday, July 2, 2010

In tempo moderato e con movimento ternario

Come in un minuetto rivisitato in chiave malinconica,
io e te facciamo passetti misurati e impauriti,
inclinando i colli come allocchi e brandendo sguardi enormi.

Ieri, camminando tra le luci dei negozi ormai chiusi,
avvolta da una vampa che più che da fuori veniva da dentro,
ho capito cosa c'era da fare.
Non che questo dipenda strettamente da te.

Ho scoperto di avere sepolto qualcosa sotto mille lenzuoli,
teli agli specchi per un lutto inventato,
tartine stantie e dalie appassite.

Ho bisogno di una mano di bianco.
Ecco tutto.

Thursday, July 1, 2010

Vibrato notturno

Ho dormito con te sul palmo come un carillon.
Suonavi una musica sempre diversa.

Mi sono svegliata abbracciata
al cuscino nero dei cattivi pensieri,
incapace di ricacciare il suono nel sogno e di chiudere il pugno.

Così mi accompagna un pensiero sfrigolante
su questo treno ghiacciato
e il mio guscio vuoto rimbomba di armonici
che faccio fatica a ripetere.

Alle sette e quarantotto,
in ritardo per il mio fioretto mattutino,
sul mio volto spiegazzato
che affondava derelitto nella coppa dei palmi
avresti visto uno spaventato accumulo elettrico,
una pioggia di atomi.

Che sia questa l'anima?

Ne vuoi un pezzetto?

Potremmo metterla in un vaso e darle da bere,
vedere che fa.
Vedere se cresce, se mette le foglie.
Insegnarle a cantare.

Siediti qui e ricomincia a suonare.

Ti ascolto.

Wednesday, June 30, 2010

Allegretto ma non troppo

Fili d'ordito.
Un rovescio un diritto un rovescio.
Un giro di spola.

Allungo la mano per toccare una guancia che non si ritira.
Dai saltelli che faccio non diresti quanto pesino queste mie gambe sformate. I fioretti le han riempite con grani d'angoscia che snocciolo al buio, svegliandomi coperta di schiuma.

Non ho sonno e decido da sola dove ho voglia di stare.
Cerco un posto nel mondo che sollevi di getto tutte le mie serrande, che cancelli le papule rosse dal bianco.
Cerco un posto dove smettere di avere paura.
Così in fondo dovrebbe esser per tutti.

Un lisciare continuo di spine, che ci porti almeno a qualcosa.