Quando avevo tredicianni sono tornata in Cecoslovacchia.
La prima volta era stato poco dopo il crollo del muro. Svuotata dal regime, tra tedeschi dell'est in vacanza sulle loro Trabant diroccate.
A Praga non si trovava da mangiare e per strada vedevi passare continui convogli di TIR circondati da sciami di vespe, come in una retrospettiva anni quaranta.
La seconda era diverso. Ho trovato Praga corrotta per turisti e gite scolastiche.
Fermi alla dogana.
Su una passat bianca che mi nauseava. Finestrini chiusi e coda sul ciglio di un campo di frumento.
Silenzio.
Il vento scuoteva quel grano giallo d'agosto. Lo pettinava a strisce alterne in mezzo al cielo sommesso, nubi panna indaco e grigio. Lilla come i fiordalisi che si spezzavano a grappoli contro quel muro di steli.
Dentro all'auto, muta, pensavo al vento. Al suono che fa quando lieve si posa sul grano.
Immersa in quel cielo lo stavo a sentire.
Sorda.
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