Saturday, November 13, 2004

A pancia in su nel buio

Alle quattro e mezza ero a occhi aperti nel buio.
Guardavo il soffitto insonne. Come una pera fino a quell'ora e poi neanche più un bandolo di sonno notturno. Semplicemente ho perso il filo. Ho contato le persone che conosco fino allo spuntare del sole.

Pensavo alla Svizzera.
Credo influenzata da un Dago straripante Lanzichenecchi.
Pensavo alla stazione dei treni di Ginevra che sembra quella di Amsterdam. Pensavo ai treni rossi con la croce bianca sul muso. Vecchi regionali con fogge anni '50 e sedili verde pisello. Pensavo al ritorno dalla Vaude di cui non ricordo nulla.

Gli svizzeri sono un popolo strano. Civili, ricchi, neutrali e contemporaneamente la più folta marmaglia di assassini mercenari stupratori pestilenti.
Come diceva Orson Welles in mille anni di storia gli Svizzeri sono riusciti a inventare solo l'orologio a cucù.

Pensavo a Roma.
A come è stato partire e a come sarebbe tornare.
Se a un abbraccio di arrivederci seguirebbe lo stesso abbraccio di benvenuto.

Ad agosto a San Lorenzo non c'era nessuno. Camminavo con Michele stupefatta tra i marciapiedi sgombri.
Una sera, poco prima che partissi, c'era una festa al 26. Il compleanno di un pischello. Tra i nostri succhi di frutta (biancospino e melagrana per me) un falso allarme, una corsa alle armi e un "era una finta".
Questi istanti di isteria collettiva mi ricordano certi clip dei Beastie Boys.
Fanno ridere e imbarazzano.

Pensavo a casa.
A quanto sia vincolante l'ambiente in cui si cresce.
Sanremo è la mia città natale. Tutti i miei parenti vivono qui.
Tra loro sono un lungo asparago verde brillante. Quasi un alieno.
Ho due cugine più grandi, figlie dell'unica sorella di mia mamma. Non mi assomigliano in niente.
Penso a come sarei stata se fossi cresciuta in questa città di mare. Se lo iodio mi sarebbe stato così ostico. Se sarei diventata una mondana fighetta, una tiepida borghesotta o una tossica marcia (qui l'eroina è come il pane).
Mi chiedo se queste due cugine tettone trasportate in giovane età in una città fredda e senza mare sarebbero state quello che sono. Con gli stessi limiti e le stesse ingenuità che la provincia garantisce.
Pensavo a Torino. A quanto mi garba e a quanto sento di doverla lasciare. A quanto prossimo sia quel momento.
Mio padre ha lasciato Sanremo per Torino e Torino per Roma.
Mi chiedo se farò lo stesso. Se lascerò Torino per Milano e Milano per Roma e poi Roma per NewYork o chissàquale altra solcazzo di città. Soprattutto mi chiedo se alla fine di questo mio peregrinare penserò ancora Torino come casa mia.

Alle sette ho ripreso il bandolo e mi sono riaddormentata.



1 comment:

Anonymous said...

mi piace come scrivi
mi piace come pensi
mi ci ritrovo

mi piaci gia'

qui davanti alla finestra
e a guardare la gente fuori
che passeggia forzata
sembra quasi che la vita
sia una cosa normale

massimodolore@libero.it


end transmission